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Home » News » Notizie » Giornata internazionale della donna: 4 cose da tenere a mente quando ricevi o regali una mimosa
lunedì, 8 Marzo , 2021
L’8 marzo è la Giornata internazionale della donna, una giornata nata per ricordare quali siano le conquiste sociali da ottenere e poi da difendere, fare il punto sulle condizioni politiche, economiche e ricordare gli squilibri che su questo tema esistono nel mondo, dove ancora oggi bisogna parlare anche di violenza nei confronti del genere femminile. È così dal 1909 quando, a partire da New York e poi in tutto il mondo, a questo si è scelto di dedicare questa giornata. Solo in Italia durante questa giornata è anche tradizione regalare le mimose. Ma che si riceva o si regali una mimosa in questa giornata, è bene ricordare qualche dato.
Nel 2020 la categoria più colpita dalla crisi economica causata dal Covid-19 è stata proprio quella femminile: secondo l’Istat su 101mila posti di lavoro persi nel 2020, 99mila erano occupati da donne. Questo perché maggiormente occupate in settori come i servizi, lavori non protetti o precari. Stando al report “Women’s work, housework and childcare before and during Covid-19” di giugno 2020, un terzo delle lavoratrici si è licenziato per concentrare le proprie energie sulle incombenze famigliari.
Quanto all’arrivo di un figlio, una legge europea del 2019 garantisce il congedo di paternità di almeno 11 giorni dall’arrivo del nuovo nato ed estende il congedo parentale di due mesi. In Italia i giorni massimi del congedo di maternità sono 150, quelli di paternità 7; in Spagna 150 per le madri a fronte di 15 per i padri, in Portogallo alle donne sono concessi 182 giorni, agli uomini 20; mentre la parità di giorni è garantita dall’Islanda (90 per entrambi). La Francia ha recentemente raddoppiato il congedo di paternità: da 14 a 28 giorni.
In 200 paesi del mondo, 20 sono governati da leader donne. In Italia, neanche a parlarne, nessuna politica ha mai ricoperto la carica di Presidente del Consiglio o di Presidente della Repubblica; attualmente tra i 23 ministri, 7 sono donne (le ministre senza portafoglio Elena Bonetti, Mara Carfagna, Fabiana Dadone, Mariastella Gelmini ed Erika Stefani; mentre Marta Cartabia, Luciana Lamorgese e Maria Cristina Messa con portafoglio). Alla guida delle regioni italiane c’è solo una presidentessa: Donataella Tesei, che governa la regione Umbria. Nel 2020 a capo della Calabria c’è stata Jole Santelli, scomparsa l’autunno scorso. Alle donne vengono associati spesso ministeri senza portafoglio oppure legati al sociale e all’istruzione: tutti ambiti prettamente femminili, secondo gli stereotipi più diffusi.
Come puntualizza Giulia Siviero de Il Post, nel corso della storia legislatura italiana tre donne hanno presieduto alla Camera – Nilde Iotti, Irene Pivetti e Laura Boldrini – mentre Elisabetta Alberti Casellati è la prima donna alla presidenza del Senato. Tra i numerosi partiti politici italiani, l’unica leader è Giorgia Meloni, alla guida del partito sovranista Fratelli d’Italia.
Diversa la situazione in Europa, dove ci sono donne premier negli stati del Nord: oltre ad Angela Merkel, cancelliera della Germania, ci sono Erna Solberg (Norvegia), Mette Frederiksen (Danimarca), Katrín Jakobsdóttir (Islanda), Sanna Marin (Finlandia), Kersti Kaljulaid (Estonia), Zuzana Čaputová (Slovacchia), Ana Brnabić (Serbia), Sophiè Wilmes (Belgio) e Simonetta Sommaruga (Svizzera). La prima ministra della Scozia – che andrà al voto a maggio – è Nicola Sturgeon.
Inoltre, in Georgia governa Salome Zourabichvili, Jacinda Arnern in Nuova Zelanda, Paula-Mae Weekes (Trinidad e Tobago), Jeanine Áñez (Bolivia), Mia Amor Mottley (Barbados), Sheikh Hasina Wazed (Bangladesh), Devi Bhandari (Nepal), Sahle-Work Zewd (Etipia) e Halimah binti Yacob (Singapore).
Il 2021 è iniziato da appena dieci settimane, eppure in Italia si sono già registrati 11 casi di femminicidi: 4 a gennaio e 7 a febbraio, un numero che non può essere ignorato. Secondo l’Istat, inoltre, i dati delle chiamate alla Polizia o al 1522 (il numero di pubblica utilità) durante il lockdown del 2020 in Italia sono indice di un allarmante aumento degli episodi di violenza domestica: tra marzo e ottobre è “notevolmente cresciuto rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+71,7%), passando da 13.424 a 23.071. La crescita delle richieste di aiuto tramite chat è triplicata passando da 829 a 3.347 messaggi”.
L’11 gennaio, Gabriel Robert Marincat, ha ucciso Sharon Barni, una bambina di 18 mesi, figlia della propria compagna, a Cabiate (Como). Sabato 16 gennaio Moses Ewere Osagie ha accoltellato la moglie, Victoria Osagie, a Concordia Saggittaria (Venezia). Il 25 gennaio a Caccamo ciò che rimaneva del corpo della diciassettenne Roberta Siragusa, scomparsa la sera del giorno precedente, è stato ritrovato alle pendici di Monte San Calogero: il fidanzato, Pietro Morreale, è indagato per l’omicidio della ragazza. L’ultimo femminicidio di gennaio è stato compiuto il 29: Alexandro Vitto Riccio ha accoltellato più volte la moglie, Teodora Casasanta e il figlio Ludovico (di cinque anni).
Febbraio è iniziato con il quinto femminicidio dell’anno: Salvatore Carfora ha aggredito e ucciso in strada a Minervino di Lecce l’ex compagna, Sonia Di Maggio, mentre passeggiava con il fidanzato. A Palermo, il 7 febbraio, Salvatore Baglione ha aggredito la moglie, Piera Napoli, con una decina di coltellate nel loro appartamento; lo stesso giorno, a Rozzano, Alfred Kipe ha ucciso l’ex compagna Luljeta Heshta. Alessio Nigro, il 17 febbraio, ha strangolato l’ex compagna Lidia Peschechera, a Pavia. Due giorni dopo, a Genova, Renato Scapusi ha ucciso a coltellate l’ex fidanzata, Clara Ceccarelli, nel negozio di calzature in cui lavorava: Ceccarelli, dopo la rottura del rapporto, aveva subito diverse persecuzioni e molestie da parte dell’ex, più volte denunciato in commissariato. Lunedì 22 si sono consumati due femminicidi, uno a Cortesano di Trento e l’altro a Bondeno (Ferrara): Lorenzo Cattoni ha ucciso con un’accettta l’ex moglie, Deborah Saltori; mentre Doriano Severi è indagato per l’omicidio di Rossella Placati, a Bondeno.
Numeri preoccupanti, se si pensa che l’anno è appena iniziato; nel 2019 in Italia si sono registrati 72 femminicidi, nel 2020 73. Il loro killer si nascondeva tra le pareti di casa: mariti o ex compagni violenti hanno voluto marcare fino alla fine il loro potere sul corpo e sulla vita delle mogli o ex, uccise per aver cercato di sottrarsi dagli abusi e dalle violenze.
La situazione non fa ben sperare se si guarda oltre i confini della penisola: i cinque paesi con la più alta percentuale di femminicidi sono El Salvador, Giamaica, Guatemala, Sudafrica e Russia. In quest’ultima sono stimate 14mila donne uccise ogni anno dai partner; in Sudafrica viene commesso un femminicidio ogni sei ore. Ogni tre giorni, in Francia, una donna viene uccisa dal suo attuale o precedente partner, in Inghilterra e Galles la violenza domestica porta all’assassinio di circa 100 donne e 30 uomini ogni anno.
L’omicidio è il culmine di una serie di abusi e violenze che le donne subiscono tra le pareti di casa. Secondo quanto raccolto dal 2010 dalla geografa Joni Seager in L’atlante delle donne, in Italia il 17% delle donne è stata vittima di violenza domestica almeno una volta nella vita, in Germania il 20%, in Francia il 25%, il 28% nel Regno Unito, in Svezia il 24%, in Polonia il 12%, il 19% in Ungheria, il 18% in Grecia e in Portogallo. Negli Stati Uniti si è intorno al 32%, in Messico al 16%, in Ecuador al 35%, in Giappone al 26%, in Vietnam al 32%, in Turchia il 36% e in Palestina il 31%. I numeri salgono nei paesi dell’Africa: 44% in Sierra Leone, 45% in Camerun, 46% in Gabon, 56% in Ruanda. Il dato più alto si registra in Bangladesh: 65%.
Al mondo ogni anno ci sono 56 milioni di aborti: il tasso dal 2010 al 2014 è stato del 37% in paesi che o non hanno leggi a riguardo o, se le hanno, sono molto restrittive; dove l’aborto è permesso per legge, invece, si è registrato un tasso inferiore del 34%. Per questo molti osservano che restringerne le possibilità non concorra a diminuirne il ricorso; anzi, negli stati in cui la contraccezione è diffusa e l’aborto tutelato il tasso diminuisce.
La prima legge sull’aborto è nata il 4 ottobre 1920, in Unione Sovietica. In Italia è stato istituita la 194 sull’aborto nel 1978, grazie alla seconda ondata femminista degli anni Settanta; la legge c’è, ma praticare l’aborto in sicurezza è ostacolato dal 69% di medici obiettori, insieme ai tentativi da parte di alcune regioni (Umbria e Piemonte) che non seguono le linee guida promulgate dal Ministero della Salute nell’agosto 2020. Le amministrazioni di centrodestra non permettono di ricorrere all’aborto farmacologico senza ricovero in ospedale.
L’introduzione della legge, nel 2020, che ne vieta la pratica in Polonia ha suscitato molto scalpore: l’aborto è vietato anche nel caso di malformazione del feto; la legge – già molto restrittiva prima – ora è del tutto proibitiva. Sono susseguite moltissime proteste di piazza da parte dei gruppi femministi polacchi, da ottobre a gennaio 2021, quando la norma è stata approvata.
Parlando di passi avanti in materia, invece, l’Irlanda ha legalizzato l’aborto nel 2018 (dopo che, nel 1983, era stato dichiarato illegale dopo il referendum costituzionale), seppur con delle regolamentazioni molto rigide: infatti, secondo le femministe irlandesi c’è ancora un margine di miglioramento per rendere la legge meno ambigua. A marzo dell’anno scorso in Nuova Zelanda è stata approvata la riforma sull’aborto, la cui pratica è concessa nella prima metà della gravidanza senza alcuna restrizione.
A fine 2020 l’Argentina ha approvato la legge sull’aborto, dopo il passaggio al Senato (la Camera aveva votato a favore nel 2018): un successo per la lotta quindicennale della Campaña Nacional por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito.
“Non abbiamo affatto raggiunto l’uguaglianza, non ci siamo neanche vicine. Le donne corrono con dei pesi agganciati alle caviglie tutti i giorni della loro vita domestica, professionale, relazionale, politica. Se ci sono persone che in buona fede pensano il contrario, è semplicemente perché di questo tema non si parla abbastanza” (Lilli Gruber, Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone)
“Non abbiamo affatto raggiunto l’uguaglianza, non ci siamo neanche vicine. Le donne corrono con dei pesi agganciati alle caviglie tutti i giorni della loro vita domestica, professionale, relazionale, politica. Se ci sono persone che in buona fede pensano il contrario, è semplicemente perché di questo tema non si parla abbastanza”
(Lilli Gruber, Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone)
Da inizio Novecento a oggi molto è stato fatto in termini di battaglie e conquiste dei diritti delle donne, ma la strada è ancora lunga: secondo il rapporto dell’Onu sul divario di genere ci vorranno 101 anni per arrivare alla parità tra donne e uomini, 257 per la parità economica. Che fare, dunque? Mettersi in cammino, tutte e tutti insieme.
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